My Eyes Are Larger Than My Mouth
“In un mondo caratterizzato da crescenti disuguaglianze e concentrazioni asimmetriche di ricchezza e potere, è necessario riconoscere che gli spazi attraverso i quali ci muoviamo e i luoghi in cui viviamo sono profondamente politici”.
All’interno di questo scenario, delineato dalle parole della curatrice danese indipendente Rikke Jørgensen, si inserisce una performance particolarmente toccante e densa di significato dal titolo “My Eyes Are Larger Than My Mouth” dell’artista nigeriano multidisciplinare e performativo Jelili Atiku.
La performance si è tenuta sabato 11 maggio 2019 presso la Chiesa dei SS. Cosma e Damiano sull’isola della Giudecca nei giorni dell’opening della 58esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, come parte di “Politics of Space”, un programma di performance pubbliche e conferenze organizzato dalla Jørgensen e presentato da Arts & Globalization Platform all’interno del Giudecca Art District (GAD). In questa occasione l’artista Jelili Atiku, da sempre impegnato coi suoi lavori sul fronte dei diritti umani e su questioni di giustizia sociale, è tornato a Venezia dopo la performance del 2017 dal titolo “Mama Say Make I Dey Go, She Dey My Back”, svoltasi all’apertura della 57esima edizione della Biennale di Venezia.
Gli oggetti utilizzati nel corso della performance “My Eyes Are Larger Than My Mouth” sono diventati poi installazione, presentata durante la mostra VOLERE VOLARE, organizzata dalla psicologa Simona Carniato e dall’Associazione no profit Studioo, inaugurata sabato 18 maggio 2019 presso Ca’ Sugana (TV). In tale occasione, l’installazione di Jelili Atiku è stata messa in dialogo con altre due opere di due dei più importanti esponenti dell’arte contemporanea africana, Abdulrazaq Awofeso e Gonçalo Mabunda, offrendo al pubblico, attraverso degli artefatti artistici, un punto di vista complesso e sfaccettato sulla delicata tematica del fenomeno migratorio.
Con “My Eyes Are Larger Than My Mouth”, titolo altamente significativo che deriva da un’espressione idiomatica anglosassone che esprime ingordigia e avidità, Jelili Atiku entra ancora una volta in dialogo con il suo pubblico, al fine di stimolare una riflessione sulla forza del legame che intercorre fra arte e politica dello spazio. Con questa emozionante performance l’artista parla al pubblico della sofferenza psicologica del migrante, cercando di provocare, da parte dello spettatore, una reazione decisa, che permetta di creare una relazione significativa fra artista e spettatore, un terreno fertile per un confronto circa la questione della nostra tendenza ad essere indifferenti verso un’umanità sofferente.
Jelili Atiku, con il corpo pitturato di vernice bianca (evidente rimando alla cultura africana, nella quale la pittura del corpo viene tradizionalmente utilizzata nel corso di diversi riti), sta seduto su una sedia antistante la scalinata per accedere alla Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, indossando un abito semitrasparente e delicatamente ricamato e un casco traforato dorato. L’artista procede nel piantare lunghi chiodi dorati in un teschio nero e chiede al suo pubblico di tirargli uova in faccia: Jelili si chiede continuamente se lui sia un essere umano e rivolge così, con le sue parole e con le sue azioni, la domanda a ciascuno di noi.
Si può essere indifferenti di fronte alla sofferenza dell’altro, si può fingere che le migliaia di persone che muoiono nel tentativo di approdare ad un futuro migliore non esistano? Sono questi gli interrogativi che l’artista nigeriano ci pone attraverso la sua performance, lasciando ad ognuno di noi il dovere umano di trovare una risposta.
Le questioni sollevate dalla performance di Jelili Atiku descrivono perfettamente i “tempi interessanti” in cui viviamo e si inseriscono in maniera puntuale nel programma di eventi della 58esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, curata da Ralph Rugoff, intitolata, appunto, “May You Live In Interesting Times” (“Che tu possa vivere in tempi interessanti”). Tale titolo si ispira direttamente ad un’espressione inglese che pare essere la traduzione di una maledizione tradizionale cinese, in cui l’aggettivo “interessante” viene utilizzato in senso ironico, per indicare dei tempi particolarmente difficili. Questi tempi particolarmente difficili sono proprio quelli della contemporaneità, in cui l’uomo si trova immerso in fenomeni altamente complessi, come quello migratorio, che è chiamato a decodificare ed interpretare.
All’interno di un siffatto scenario, l’arte si trova a svolgere con ancor più vigore il proprio ruolo, portando all’attenzione dell’opinione pubblica tematiche contemporanee, anche quelle più difficili e delicate, al fine di stimolare una riflessione collettiva in cui venga preservato il valore della complessità dei fenomeni. La conoscenza approfondita del legame che intercorre fra gli elementi costitutivi di un fenomeno complesso e fra diversi fenomeni è lo strumento più efficace per evitare la formazione di interpretazioni semplicistiche, che, nonostante la loro indubbia utilità nel permettere ad ognuno di noi di orientarsi all’interno di un mondo complesso, sono tuttavia spesso fuorvianti e inadeguate. Ogni interpretazione eccessivamente semplificatoria rischia di non riflettere più la realtà e di dare origine a pregiudizi e stereotipi.
Nell’ottica di contrastare questa tendenza umana all’eccessiva semplificazione della complessità, la psicologa Carniato, in veste di esperta di Cooperazione tra Stati, ha portato avanti nel dicembre 2018, in Nigeria, terra natale di Atiku, il progetto “CinemArena”. Attraverso l’approfondimento delle componenti psicologiche, sociali ed ambientali alla base del fenomeno migratorio, la finalità del progetto era quella di prevenire la migrazione irregolare dall’Africa e, da una prospettiva più ampia, quella di indagare le dinamiche psicosociologiche sulle quali intervenire per il raggiungimento di una migliore condizione umana. Proprio da questa esperienza sul campo è nata l’esigenza di condividere con un pubblico quanto più ampio possibile alcune riflessioni circa l’intricata rete di fattori che caratterizzano il fenomeno migratorio, al fine di rappresentarlo in tutta la sua complessità. Inoltre dalle interviste effettuate durante il progetto, è emerso un forte desiderio di “andare oltre”, un’aspirazione ad una vita più ricca di possibilità, una tensione continua verso una promessa, tematiche perfettamente rappresentate nel mito di Icaro e che hanno direttamente ispirato il titolo della mostra organizzata da Simona Carniato, VOLERE VOLARE.
Tramite la voce e le azioni di Jelili Atiku, l’Arte torna così a ricoprire il suo ruolo più significativo, quello di specchio e strumento di analisi della società, di denuncia delle sue innumerevoli contraddizioni e ingiustizie, di spazio per un confronto e una riflessione, di veicolo per la diffusione di un messaggio, di motore per un possibile cambiamento.
Volere Volare 2019 – Studio Onlus – Intervista di Alessandra Zucconi
https://www.youtube.com/watch?v=PnlYcOuDfWg
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